Venerdì, 19 Aprile 2024

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Primitivo in crisi, errori vecchi e nuovi e il ruolo del Consorzio

Adriano Pasculli de Angelis Adriano Pasculli de Angelis

Metto in ordine una serie di considerazioni ciascuna della quale meriterebbe una trattazione più ampia ma che sinteticamente potrebbero essere utili per la comprensione della fenomenologia del primitivo in tutte le sue declinazioni.

 

  1. Anzitutto va premesso che la domanda globale di vino primitivo è cresciuta notevolmente negli ultimi anni. Questo aumento della domanda ha portato ad una corsa al primitivo che quasi ricordava la febbre dell’oro del Klondike.
  2. Questa corsa al primitivo ha infiammato i prezzi delle uve perché i produttori di vino, ansiosi di conquistare crescenti fette di mercato, hanno cercato di accaparrarsi quantitativi crescenti di primitivo presso produttori grandi e piccoli.
  3. La forte domanda di uve primitivo ha generato un poderoso aumento dei prezzi delle uve stesse. Quando la domanda di vino primitivo ha mostrato imprevedibilità e forti fluttuazioni (positive) i prezzi delle uve e del vino sfuso sono schizzati in alto creando una piccola bolla.

L’anomalo andamento del mercato del vino pugliese ha “svegliato” degli speculatori esterni che hanno fiutato l’affare (o il sangue come gli squali) ed hanno iniziato ad operare massicciamente sul mercato pugliese delle uve e del vino finendo per creare aberrazioni o amplificare quelle esistenti.

Successivamente la nostra economia è entrata in un periodo inflattivo che altro non ha fatto che accrescere la portata e gli effetti delle dinamiche di cui sopra.

In termini strettamente economici, tuttavia, il prezzo di un qualsiasi prodotto non è mero arbitrio del produttore dello stesso ma deve tener presente che ad ogni fascia di prezzo X si genera una domanda Y.

Il prezzo stesso deve tenere presente due importanti grandezze economiche. La prima è la c.d. “elasticità della domanda” ovvero di come reagisce la domanda al cambiare del prezzo.

Se la domanda è inelastica succede che al variare in termini percentuali di un quantitativo ALFA del prezzo, la stessa varia meno di ALFA e questo astrattamente giustificherebbe un aumento dei prezzi.

La domanda di primitivo, allo stato dell’economia attuale, appare aver raggiunto una zona di prezzo dove l’elasticità è significativa ovvero al variare in aumento del prezzo del vino, la domanda di vino primitivo decresce significativamente in maniera superiore alla variazione di prezzo domandata.

La seconda grandezza è il “Substitution Effect” ovvero, in presenza di un prodotto alternativo (ed al primitivo di alternative ce ne sono molteplici) al raggiungere del prodotto principale di un prezzo A, i consumatori si orientano sul sostituto più economico B. In poche parole, quando il prezzo di A diventa troppo alto, i consumatori iniziano a comprare B al posto di A.

Questo effetto normalmente si osserva maggiormente quando esistono delle importanti variazioni sulla ricchezza individuale e sulla propensione al consumo (income effect) che è ESATTAMENTE la condizione in cui ci troviamo adesso (vedi teorie economiche Keynesiane).

L’aumento dei prezzi delle uve, il poderoso aumento dei costi dell’energia seguito dal conseguente aumento dei costi delle materie prime quali vetro, tappi, etichette ecc. ha comportato una fortissima pressione sui costi dei produttori di vino che solo in parte è stata scaricata sul consumatore finale perché fin da subito i produttori si sono resi immediatamente conto, anche solo empiricamente, dell’elasticità della domanda di vino primitivo.

In effetti questa condizione è comune a tutti i produttori di vino italiano dal Valpolicella all’Etna passando per il Chianti con alcune lodevoli eccezioni.

D’altro canto, gli stessi produttori ricevevamo dei riscontri di tale difficoltà da parte della GDO dei vari paesi d’Europa poiché la stessa ha da subito iniziato a percepire il rallentamento dei consumi e l’erosione della propria marginalità.

Il risultato per i produttori di vino è stato una contrazione del margine lordo per litro prodotto ed uno spasmodico aumento delle produzioni, e quindi delle scorte, nella speranza di compensare i minori margini attraverso la conquista di crescenti fette di mercato. Ovviamente il vino ad IG sembrava un candidato perfetto per penetrare nuove fette di mercato dato il buon rapporto qualità/prezzo e la maggiore versatilità produttiva.

Cosa mancava alla tempesta perfetta per il vino pugliese? Una non corretta informazione dei mercati magari basata sulla erronea, superficiale, parziale e semplicistica lettura di alcuni dati disponibili sul vino italiano.

Ecco che arrivano le intempestive dichiarazioni di Confagricoltura Puglia purtroppo riprese dell’Assessore Regionale all’Agricoltura della Regione Puglia che nel tentativo di rimediare in fretta (e forse di strafare) hanno finito per peggiorare la situazione dipingendo uno sbagliato quadro a tinte fosche e cambiando in negativo il sentiment di mercato verso il vino primitivo.

Non c’è un’azienda in Puglia che non si è vista sventolare in faccia l’intervista ai suddetti attori tradotta in tutte le lingue europee, al fine di indebolire la loro posizione contrattuale, rimandare una consegna, rinegoziare i contratti quando non peggio.

È vero che, secondo i dati dell’osservatorio del vino, le vendite di vino primitivo sul circuito retail sono in diminuzione in alcuni paesi ma questo dato è in linea, se non inferiore, con la media di mercato per tutti i vini rossi europei. Per esempio, prendendo come base i dati dell’osservatorio del vino sul mercato UK, è pur vero che le vendite off-trade segnano una perdita attorno al 12% per i vini fermi (con primitivo -13,4% e sangiovese -19,7%) ma questo potrebbe essere dipeso semplicemente dal fatto che i consumatori usano meno quello specifico canale di vendita per acquistare del vino: è infatti notizia relativamente recente (2) quella che registra la crescita esponenziale delle vendite di vino nel canale DtC nel Regno Unito.

È altrettanto vero che le giacenze sono quelle indicate dai rapporti ministeriali, ma non è forse vero che le giacenze AUMENTANO all’aumentare della domanda e della imprevedibilità della stessa? Questo fenomeno, noto come effetto Forrester o “Bullwhip effect” è uno dei più comuni problemi delle supply chain di tutto il mondo. Sicuramente i produttori pugliesi hanno sbagliato e si sono fatti prendere la mano ma non è certo il caso di paventare la disfatta dell’industria enoica pugliese che non è nemmeno all’orizzonte.

Non è inoltre vero che dal 30/04 al 31/07 di quest’anno le giacenze di IG pugliese sono diminuite del 20% ovvero di ben 726.000 Hl circa?

Non sono certo numeri per cui stare tranquilli, anche alla luce del prevedibile rallentamento dei consumi di vino in alcuni paesi del mondo almeno per il 2022, ma è il naturale prezzo da pagare per quella folle corsa all’oro che ha ammorbato le menti e gonfiato i portafogli di molti pugliesi e non.

Però, est modus in rebus, ed i nostri opionion leaders dell’agricoltura locale dovrebbero prendere ad esempio le composte, intelligenti e pacate dichiarazioni del presidente del consorzio del vino Chianti rilasciate all’ANSA il 31/08/2022 (3). Lo stesso presidente che, stando ai dati usati dai nostri politici e sindacalisti locali per dichiarare quello che hanno dichiarato, avrebbe dovuto fare dichiarazioni ancora più catastrofistiche di quelle pugliesi visto che il Chianti (che peraltro è una DO) se la passa decisamente peggio del primitivo (che invece è un coacervo di DO e IG).

Perché la vera anomalia pugliese sta appunto in questo. Si sono accorti i nostri “analisti” che le giacenze di DOC Toscana al 31/07 sono SOSTANZIALMENTE UGUALI alle giacenze di IG Puglia?

Spulciando ed analizzando bene i dati di Cantina Italia al 31/07 si sarebbe scoperto che la Puglia, che nel 2021 era la seconda regione produttrice di vino d’Italia dietro il Veneto, si trova al terzo posto per giacenze complessive di DO+IG dietro appunto il Veneto e la Toscana.

Sempre dai suddetti dati si evince che il rapporto giacenze di DO+IG 2022/produzione 2021 è attorno allo 0,71 per il Veneto, 0,29 per la Puglia, 0,34 per l’Emilia-Romagna, 0,59 per la Sicilia, e ben il 2.20 per la Toscana. Questo rapporto cambia sensibilmente se si considerano le giacenze delle sole IG poiché le stesse rappresentano oltre il 57% del totale delle giacenze pugliesi di vino a fronte di una media nazionale (senza Puglia) che si attesta intorno al 26%.

La vera anomalia è quindi da ricercarsi nello spazio delle IG pugliesi che sovente vengono usate (ed abusate) per inondare il mercato con prodotti di pronta beva che vanno consumati freschi e la cui vita commerciale percepita è come una bomba ad orologeria scandita dalle varie annate vendemmiali.

È evidente che l’utilizzo massiccio delle nostro IG è una sorta di complimento implicito alla attrattività ed alla qualità dei vini pugliesi, ma questi prodotti mostrano una debolezza intrinseca, una forte connotazione di bene-commodity, una grande elasticità della domanda, ed un “prezzo di sostituzione” abbastanza risicato che li rendono soggetti alle fluttuazioni della domanda, ai “sentiment” di mercato e qualche volta rischiano di tirare i prodotti a più alto valore aggiunto in indesiderate spirali ribassiste.

Intendiamoci, non tutti i vini ad indicazione geografica tipica sono pensati per essere dei prodotti di massa ed anzi ci sono grandissimi vini in Puglia che si fregiano di indicazioni geografiche tipiche pugliesi per la volontà delle aziende produttrici di sperimentare ed osare visto che i disciplinari delle IG concedono maggiori margini rispetto ai più rigidi ed invasivi disciplinari delle DOC: tra questi spicca l’ES di Gianfranco Fino oppure Le Braci di Severino Garofano ecc.

Certamente questo fenomeno che appare evidente al solo analizzare i dati è qualcosa verso la quale porre la dovuta attenzione e verso dove indirizzare gli sforzi per rafforzare la struttura produttiva del vino pugliese e migliorare nel suo complesso la sua filiera integrata dal produttore al consumatore.

Ritirare dal mercato prodotto invenduto ad IG non sembra affatto una soluzione strutturale di irrobustimento dell’economia del vino pugliese né tantomeno la soluzione giusta per il tipo di problema attuale. Agire usando vecchi stereotipi statalisti (o regionalisti) non giova affatto e finisce sempre per premiare i cattivi a scapito dei buoni.

Perché invece non puntare su di un provvedimento che promuova in tutto il mondo le DOC pugliesi anche quelle meno diffuse? Perché non evidenziare le eccellenze anche delle nostre IG? Perché non promuovere la nascita di Consorzi di Tutela per tutte le DO ed IG che ne sono sprovviste? Perché non incentivare la produzione di vini con periodo di invecchiamento maggiore e maggiore vita commerciale? Perché non puntare sull’enoturismo attraverso provvedimenti ad hoc che incentivino notevolmente tale attività? Ho citato solo alcuni dei tantissimi provvedimenti che veramente potrebbero aiutare a rafforzare e modernizzare l’economia del vino pugliese.

Inoltre, non sarebbe il caso di aggiungere valore ai vini made in Puglia attraverso una seria, costante e professionale, azione di promozione dei nostri prodotti volta ad aumentare l’utilità percepita (altro concetto economico) da parte dei consumatori di tutto il mondo? Questa azione serve appunto a rendere meno elastica la domanda e meno basso il prezzo in cui si verifica il “substitution effect”.

E qui arriviamo ai Consorzi di Tutela.

Per quanto riguarda il Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria un primo errore fu commesso già a partire dal 31/07/2020. Infatti, a partire da quella data, il Consorzio di Tutela, sotto la presidenza Di Maggio decise il blocco triennale all’iscrizione di nuovi vigneti di primitivo di Manduria.

Nell’articolo che appare ancora oggi nelle pagine dell’UIV (3) il Presidente di Maggio dichiarava che questo provvedimento era stato preso “(omissis) per tutelare la remuneratività della filiera”.

In fondo all’articolo veniva spiegato che nelle campagne 2016-2019, ovvero 4 campagne, i vigneti iscritti nella DOP erano cresciuti del 30% senza tuttavia ricordarci di quanto era cresciuta la domanda di primitivo di Manduria ed immagino quel numero sia superiore al 30%.

Il suddetto provvedimento fu preso troppo frettolosamente, sull’onda dello shock del lockdown e dell’imperversare del COVID-19 in tutto il mondo. Oggi sappiamo trattavasi di un provvedimento errato perché il COVID-19 non solo non impattò negativamente sul consumo di vino nel mondo ma addirittura ha influito positivamente sulla domanda globale di vino pur con notevoli aberrazioni di mercato.

Questo ha comportato una sorta di “sconvolgimento” dell’offerta di primitivo che ha avuto come riverbero una fiammata dei prezzi delle uve. Qualche produttore si è addirittura visto costretto a reindirizzare clienti e compratori verso l’IG “Salento” infiammando anche i prezzi di quest’ultimo e conseguentemente a cascata anche i prezzi dell’IG “Puglia”.

Questa spirale viziosa ha finito per impattare le dinamiche di cui ai punti 1), 2), e 3) accrescendone gli effetti. Ovviamente una correzione dei prezzi al ribasso non solo era prevedibile ma per alcuni versi, ed entro certi limiti, auspicabile. L’attenzione dei Consorzi di Tutela deve essere quella di coordinare gli sforzi affinché la fisiologica correzione al ribasso dei prezzi delle uve non si trasformi in una spirale ribassista e depressiva che distrugga e desertifichi l’intera filiera.

Cosa possono fare i Consorzi di Tutela? Per esempio, utilizzare i cosiddetti fondi “OCM” per la promozione della Denominazione in Paesi non EU. Trattasi di una misura talvolta difficile da accettare per le aziende perché promuove il prodotto in quanto tale, la sua percezione in termini di qualità e di valore, e non si sofferma su di un singolo marchio o su di una singola etichetta.

Il Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria l’ha fatto una sola volta e gli effetti benefici si sono fatti sentire quasi immediatamente e continuano a dispiegare benefici ancora oggi. Sarebbe auspicabile si tornasse ad investire negli OCM (veramente) collettivi e gli effetti benefici non tarderebbero ad arrivare.

Il Consorzio di Tutela potrebbe implementare l’osservatorio prezzi che, durante la presidenza Erario, fu iniziato e posto in essere solo in forma parziale per la resistenza di alcune aziende.

L’osservatorio prezzi si dovrebbe comporre sia dell’osservatorio dei prezzi medi delle uve (che non fu fatto) sia dei prezzi medi sugli scaffali della distribuzione grande e piccola, dell’HO.RE.CA., dell’e-commerce ecc.

In passato il Quotidiano di Puglia e la Voce di Manduria hanno dato spazio ai comunicati stampa generati dall’osservatorio prezzi del Consorzio di Tutela e ciò generò un ampio dibattito tra produttori ed addetti ai lavori che ha portato ad interessanti risultati ed un migliore posizionamento del primitivo di Manduria in termini di prezzo.

Il Consorzio di Tutela dovrebbe rafforzare lo strumento degli agenti vigilatori sia in termini di vigilanza che in termini di analisi di mercato. In effetti il Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria continua a fare un buon lavoro in materia di vigilanza anche con visite in paesi Europei sensibili e di strategica importanza.

Un maggiore investimento ed una più importante azione di market intelligence aiuterebbero gli attori della filiera ad orientare meglio le loro strategie aziendali.

Il Consorzio di Tutela avrebbe forse dovuto immediatamente emettere comunicati volti a stabilizzare e tranquillizzare il mercato, almeno per quanto riguarda la DOP Primitivo di Manduria. Il mercato si alimenta di informazioni ed il permettere la circolazione di informazioni incorrette può provocare crisi di mercato.

Il Consorzio di tutela potrebbe cercare di integrare al massimo la filiera del primitivo di Manduria attraverso una più intensa collaborazione e più fitto scambio di informazioni tra i produttori di vino, l’upstream agricolo, ed il downstream commerciale. Questo tipo di collaborazione, sperimentata con successo in molte realtà evolute di tutto il mondo, riducendo l’incertezza, l’imprevedibilità e la variabilità all’interno della supply chain, riduce il rischio di effetto Forrester riducendo la necessità di aumentare gli stoccaggi di prodotto e riducendo anche la possibilità che l’eventuale sovraproduzione ed iperstoccaggio porti ad anomale e dannose fluttuazioni di mercato.

Il Consorzio di tutela avrebbe potuto puntare a strategie integrate per promuove ed incentivare l’enoturismo poiché i consumi nel canale DtC (Direct to Consumer) sono in fortissima crescita d sono quelli a maggior valore aggiunto e massima fidelizzazione. Tutto ciò diminuirebbe il rischio sostituzione ed il rischio di una diminuzione del valore percepito perché fette sempre crescenti di consumatori verrebbero incentivati a costruire un rapporto diretto, emotivo e personale con il prodotto ed il suo territorio d’origine anche a vantaggio del territorio stesso. In tal senso si è mosso meravigliosamente il Consorzio di Tutela del Franciacorta DOCG che andrebbe preso quale esempio di enoturismo virtuoso per il vino e per il territorio.

Credo esistano tanti altri strumenti “sperimentabili” da parte dei Consorzi di Tutela ma, per esperienza personale, è difficile agire in periodi tumultuosi perché spesso le difficoltà finiscono per inibire anche l’azione dei più talentuosi e volenterosi dirigenti di consorzio.

Credo che il Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria possegga le capacità e le competenze per gestire al meglio la situazione; sono sicuro siano già al lavoro per difendere al meglio quello straordinario gioiello dell’enologia italiana che è il primitivo di Manduria.

Confido anche nella politica regionale che, al netto del recente scivolone, riprenda le redini della situazione e ponga in essere politiche strutturali capaci di incidere positivamente sull’andamento dei vini e susseguentemente delle uve pugliesi. Confido anche che alle politiche strutturali si affianchino le politiche promozionali per ribaltare il danno d’immagine subito di recente.

Credo che queste mie riflessioni saranno sgradite a molti; quello che però mi guida è sempre il bene del vino pugliese e del primitivo di Manduria che occupa sempre una importante parte del mio cuore e per il quale sarò sempre a completa disposizione.

Adriano Pasculli De Angelis, già direttore del Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria

 

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