Il pregiudicato era stato preso con il sorcio in bocca. Per alleggerire la sua posizione, doveva fare i nomi dei complici, e lui fece un nome: uno qualsiasi. Nino non aveva mai avuto guai con la legge e la sua vita era un libro aperto di specchiata onestà. Quella mattina lo andarono a prendere con quattro macchine e lo portarono in caserma. Arrivato lo chiusero in una stanza, con un agente più largo che lungo a fargli da guardia. Il funzionario se la prese comoda prima di andare ad interrogarlo, per fiaccarne lo spirito e insinuare in lui la paura, ma paura di cosa? Quando arrivò, chiese a Nino dove era stato il martedì. Nino rispose che era stato al pronto soccorso, perché si sentiva male, però il funzionario gli intimò di “confessare”, ma confessare che cosa? Il funzionario gli disse che stava rischiando dieci anni, e Nino, a quel punto, pretese l’avvocato. Ma vista la mala parata degli sbirri Nino fu rimesso in libertà. Ai pregiudicati invece offrono il caffè, ci discorrono amabilmente, ma Nino andava atterrito: chissà perché agiscono così!
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