Giovedì, 25 Aprile 2024

Salento Puglia e mondo

Come è ormai risaputo, la situazione del sistema previdenziale italiano è sulla soglia del collasso.

I cambiamenti delle pensioni spingono verso le forme integrative

Inps Inps | © Google

L’innalzamento dell’età pensionabile come naturale conseguenza del miglioramento della speranza di vita dovrebbe in teoria neutralizzare la longevità dei conti previdenziali, ma la realtà è ben diversa, dal momento che, secondo le nuove direttive nel 2019 si andrà in pensione a 67 anni e anche questa soluzione non porterà giovamento alle casse dello Stato. A regolare questi aggiustamenti triennali dell’età pensionabile è una norma regolata dall’aumento della speranza di vita, senza dubbio ben diversa da quanto accadeva negli anni scorsi. La preoccupazione principale risiede però nella strutturazione dell’intero sistema pensionistico pubblico, dal momento che Inps, Inpdap e tutti gli altri istituti previdenziali sono strutturati secondo i criteri della ripartizione, secondo cui tutti i contributi versati dalle aziende e dai lavoratori vanno a coprire le spese della previdenza, ma è evidente che nella situazione attuale, con la disoccupazione dilagante e una nazione tra le più anziane d’Europa e del mondo, il sistema potrebbe a breve collassare. La soglia minima di pensione è infatti già molto bassa e il futuro non si prospetta così roseo.

La situazione attuale scaturisce però da quanto maturato nel corso degli anni scorsi. Secondo un documento della Commissione sui fondi, il rallentamento è partito durante la crisi petrolifera del 1973-1976, quanto è stata necessaria una spesa più elevata per supportare i disoccupati e le imprese. Solo negli anni ’90 sono però arrivare le riforme strutturali che hanno riguardato le pensioni: è stata la riforma Amato a rivoluzionare il sistema previdenziale, visto che fino al dicembre 1992 il lavoratore che era iscritto all’Inps riceveva l’assegno di pensione in base alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro. Si è introdotto quindi un sistema che innalzava l’età pensionabile ed estendeva a tutta la vita lavorativa il periodo di contribuzione utile a calcolare la pensione. Nel 1995 la riforma Dini ha introdotto il sistema contributivo, che non considera più lo stipendio percepito, bensì l’ammontare complessivo dei contributi versati. Cinque anni più tardi, lo Stato introduce un miglior trattamento fiscale per chi aderisce a Fondi pensione chiusi alle classi d’appartenenza o sottoscrive autonomamente fondi o Piani Individuali Pensionistici. Le successive riforme Maroni, Prodi e Fornero hanno ulteriormente complicato le carte in tavola, facendo “tornare di moda” le formule previdenziali complementari e integrative.

L’ultima novità, prevista per l’1 gennaio del 2019 adeguerà con periodicità biennale il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia all’incremento della speranza di vita, ed è per questo che sempre più italiani, con il timore di ritrovarsi con una pensione ridotta ai minimi termini e di non poter affrontare eventuali situazioni contingenti sottoscrivono in numero sempre più crescente formule integrative come i già citati PIP: si tratta di strumenti di accumulo capitale destinati ad una rendita vitalizia al raggiungimento della soglia pensionabile. Il lavoratore può versare una somma variabile a seconda delle sue esigenze, decidere di disinvestire in qualsiasi momento e accordarsi con l’ente erogante sulla modalità di fruizione della rendita. Quanto accumulato negli anni può infatti essere restituito mensilmente al raggiungimento della soglia pensione, oppure predisposto in forma di garanzia anche per gli eredi in caso di decesso che impedisce al contraente di godere dei sacrifici economici fatti nel corso degli anni. Alle suddette caratteristiche si aggiunge quindi la reversibilità e la deducibilità fiscale fino a 5.164,57 euro all’anno, nonché un vantaggio fiscale sui rendimenti che saranno scontati al 20%, un minor impatto dei costi di gestione e una massima flessibilità. Le opportunità fornite dalla previdenza integrativa fanno ben sperare gli italiani, che potrebbero tornare a riconsiderare la pensione come una prospettiva interessante benché costruita con piccoli sacrifici mensili da assommare ai contributi che si versano per una pensione sociale che potrebbe anche non arrivare mai.

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