Giovedì, 25 Aprile 2024

Salento Puglia e mondo

Nelle 180 pagine dell’ordinanza di applicazione di misure cautelari firmata dal gip del Tribunale di Lecce, Edoardo D’Ambrosio, si raccontano i particolari di questa tentata scalata del boss al potere politico regionale

I piani falliti del boss per controllare la politica in Regione

Le intercettazioni dei Ros Le intercettazioni dei Ros | © La Voce di Manduria

Nei piani del «Padrino» c’era anche il controllo della cosa pubblica. Nelle 180 pagine dell’ordinanza di applicazione di misure cautelari firmata dal gip del Tribunale di Lecce, Edoardo D’Ambrosio, si raccontano i particolari di questa tentata scalata del boss al potere politico regionale. Durante le ultime consultazioni per il rinnovo del Consiglio della Regione Puglia, il clan di Caporosso si sarebbe speso pubblicamente per sostenere il candidato Antonio Scalera, consigliere regionale uscente con la lista «Libertas», ricandidatosi nel 2015. In una intercettazione ambientale che è stata captata dai carabinieri il 22 maggio del 2015 (si sarebbe votato il 31 maggio), il “Padrino” si trova in auto e parla con un suo interlocutore. «Ti ho detto che sto raccogliendo un po’ di voti per Scalera?», chiede il boss spiegando le ragioni di tale scelta: per «contare su un punto d’appoggio là». Il riferimento, scrive il gip, è rivolto all’utilità per il suo gruppo di poter contare nell’amministrazione regionale «su rappresentanti politici a loro debitori». Proseguendo il dialogo, la richiesta di Caporosso è più esplicita. «E se non hai preferenze lo dai a Scalera, domani avrò un punto d’appoggio là». Qualche giorno prima delle elezioni, precisamente il 26 maggio 2015, il Padrino organizzò un incontro elettorale conviviale al quale, nonostante la sua assenza per sottoporsi ad un intervento chirurgico, parteciparono circa settanta persone. «Appena dimesso dalla clinica proprio la mattina delle consultazioni – si legge negli atti dell’inchiesta - Caporosso con la moglie Angela Balestra «si adoperava con amici e parenti affinché andassero a votare». In una precedente intercettazione registrata il 7 marzo di quell’anno, Caporosso illustra così i suoi programmi espansionistici per il controllo della politica. «Se noi a quello lo portiamo là – spiega il Padrino –, stiamo in prima fila». Nel dialogo che segue il boss lascia intendere di voler cambiare registro. «Perché fino a mo’ – dice – fino a mo’ i signori prendono, eh, ci usano come ruota di scorta; allora poi qualcuno che tiene il cervello un po’… invece là noi dobbiamo stare in prima fila». Il candidato Scalera - che, è bene ribadirlo, non è coinvolto nell’inchiesta in quanto sarebbe stata esclusa la sua consapevolezza circa gli appoggi della mala –, pur ottenendo 5.547 voti di preferenza, più di mille rispetto alle precedenti elezioni, non è più stato rieletto. Nella circostanza, si trattò di una vera e propria pillola amara per l’ex consigliere che in seguito aveva presentato, perdendolo, un ricorso contro la Regione Puglia e i consiglieri eletti, Ruggero Mennea e Filippo Caracciolo. Tra i motivi di appello avanzati da Scalera, «l’erroneità della sentenza per illegittimità costituzionale, errata valutazione della denunciata violazione, falsa applicazione della Legge regionale 7/2015. Ma fu tutto inutile.

Nazareno Dinoi

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