Giovedì, 28 Marzo 2024

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Voleva aggirare le leggi in materia edilizia ed ha trovato il tecnico disposto a fargli credere che fosse possibile. Ma la giustizia lo ha punito condannandolo

Condanna in Cassazione per la villetta abusiva con le carte false del geometra

Giustizia Giustizia | © Google

Voleva aggirare le leggi in materia edilizia ed ha trovato il tecnico disposto a fargli credere che fosse possibile. Ma la giustizia lo ha punito condannandolo alla pena di tre mesi di arresto e diecimila euro di multa. Si è chiusa così con il terzo grado di giudizio la vicenda di un manduriano che aveva realizzato l’ampliamento di un’abitazione dove non poteva. V.M., queste le iniziali del protagonista della storia, aveva iniziato a costruito un appartamento senza i necessari permesse e a seguito di un controllo da parte dei vigili urbani era stato segnalato all’autorità competente.

Nel tentativo di sanare gli abusi edilizi, l’uomo si era rivolto ad un ingegnere manduriano il quale gli aveva fatto chiaramente presente che, data la complessità del caso e della zona dove aveva costruito, non sarebbe stato possibile esaudire il suo desiderio. Il proprietario era così andato alla ricerca di un altro tecnico disposto a fare “il miracolo” trovandolo in un geometra del posto che gli garantiva tutto.

«L’ingegnere – si legge nelle motivazioni della sentenza della terza sezione penale della Corte di Cassazione -, aveva espressamente avvertito il proprietario che l’ampliamento del fabbricato da questi proposto non poteva esser eseguito, perché non consentito dalla normativa; al che, l’imputato gli aveva risposto che si sarebbe rivolto ad un altro tecnico “perché mi ha garantito che mi daranno il permesso di costruire”». In effetti il geometra riusciva ad ottenere il permesso a costruire per il suo cliente, peccato però che fosse falso. Scoperto il trucco, le autorità procedevano al sequestro dello stabile (nel frattempo adibito anche ad attività commerciale) condannando il proprietario sia in primo che in appello. «A conferma ulteriore, comunque, dell’assenza dell’invocata buona fede in capo all’imputato – puntualizzavano i giudici nelle sentenze di condanna -, il quale, pur avvertito dall’ingegnere dell’illiceità dell’intervento che intendeva eseguire, aveva preferito rivolgersi a chi gli aveva “garantito” il contrario, assumendosene ogni rischio».

Non soddisfatto dei due gradi di giudizio, V.M. si è infine rivolto alla Cassazione che ha respinto il ricorso confermando la sentenza d’appello e condannandolo al pagamento di duemila euro di spese processuali.

Nazareno Dinoi

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