Il tesoro di don Nino Fusco, ex re del Primitivo deceduto diversi anni fa, caduto in disgrazia dopo lo scandalo del vino al metanolo e quindi fallito, continua a far parlare le aule giudiziarie. Questa volta ad interessarsi di una parte del suo impero è stata la sezione procedure concorsuali del tribunale di Taranto che con una rarissima decisione (di simili se ne contano non più di 4 in tutta Italia), ha anato gli effetti di un’asta fallimentare che aveva aggiudicato ad una donna manduriana la proprietà della nega villa, oramai in disuso, situata sulla via per Oria. L’immobile il cui prezzo a base d’asta era stato fissato in 543mila euro, era stato battuto all’unica acquirente per 408mila euro. Sarebbe finita così se non ci fossero stati alcuni fattori (alcuni dei quali rimasti oscuri e su cui indaga la procura della Repubblica di Potenza), tra cui l’incongruenza del prezzo offerto rispetto a quello stabilito dall’ordinanza e poi conflittualità di natura professionale tra due famiglie di vinificatori manduriani, i Fusco, appunto con un’altra nota famiglia di commercianti in vino. La donna che aveva versato l’offerta aggiudicandosi l’asta anata, infatti, è la moglie di un ex concorrente della “Vinicola Fusco Antonio”. Da qui la volontà degli eredi di don Nino di lottare per ristabilire le regole. La parte più complicata è quindi passata nelle mani dell’avvocato manduriano, Daniele Capogrosso, difensore degli eredi Fusco, il cui intuito ha fatto emergere le irregolarità contenute nell’aggiudicazione in questione. Le memorie presentate dalla difesa mettevano in risalto tre aspetti di presunta grave irregolarità: il valore offerto e aggiudicato inferiore a quello imposto nell’ordinanza di vendita secondo la quale “il prezzo offerto non poteva “essere inferiore a quello indicato dal Giudice…pena l’esclusione dell’offerente dalla gara”; l’incoerenza dell’ordinanza di vendita che in un passaggio contrastava con l’ordinanza stessa; l’irregolarità del manifesta che annunciava l’incanto diffuso nei comuni di Manduria e Sava privo di data e di timbro del tribunale. “L’abbattimento del prezzo di vendita di un quarto rispetto al prezzo-base – scrive l’avvocato Capogrosso nelle sue memorie - costituivano grave nocumento sia per il debitore fallito che per la massa dei creditori, perché non si è consentito l’apertura di una vera gara». In questo modo sarebbero state frustrate non solo le aspettative dei creditori, ma anche del debitore il quale ha tutto l’interesse a spuntare un prezzo che sia più alto possibile, per evitare il rischio che il ricavato della vendita non sia sufficiente per estinguere tutti i debiti.
Alla fine ha prevalso la tesi dei Fusco e del loro avvocato. Il collegio dei giudici presieduto da Pietro Genoviva, ha infatti accolto i motivi dell’opposizione anando l’aggiudicazione per i seguenti motivi: «violazione delle disposizioni contenute nell’Ordinanza di vendita; perché sono state cambiate le “regole del gioco” in corso di gara; si è perturbatala regolarità della gara avendo violato la par condicio tra i potenziali offerenti; c’è stato il mancato rispetto delle esigenze di trasparenza e legalità che presiedono all’intera procedura esecutiva». Per l’effetto, il provvedimento giudiziario anava l’aggiudicazione perché illegittima. Ora si attendono le decisioni dell’acquirente che potrebbe presentare ricorso.
N.D.
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