Mercoledì, 24 Aprile 2024

Cronaca

Si gioca a carte scoperte nel processo per il triplice omicidio di Sava in cui lo scorso 18 novembre il carabiniere Raffaele Pesare di 53 anni ha ucciso a Sava, a colpi di pistola...

Triplice omicidio di Sava, la difesa del carabiniere: «è stato un raptus di follia»

Raffaele Pesare Raffaele Pesare | © La Voce

Si gioca a carte scoperte nel processo per il triplice omicidio di Sava in cui lo scorso 18 novembre il carabiniere Raffaele Pesare di 53 anni ha ucciso a Sava, a colpi di pistola, il padre Damiano di 85 anni, la sorella Maria Pasana di 50 e il cognato Salvatore Bisci di 69 anni prima di tentare il suicidio con una pistolettata al mento che lo ha solo ferito. Nell’udienza che si aprirà oggi nel tribunale di Taranto, l’avvocato che lo difende, Lorenzo Bullo, cercherà di far riconoscere al suo assistito l’incapacità di intendere e di volere al momento dell’assassinio. Il legale, infatti, a seguito del giudizio immediato voluto dal giudice, ha chiesto il rito abbreviato condizionato a due fattori. Il primo è quello di accertare la capacità dell’imputato di potersi difendere alla luce dell’amnesia che lo tiene ancora lontano da quei drammatici momenti (a distanza di sette mesi continua a sostenere di non ricordare niente); la seconda richiesta è di sottoporre l'imputato ad una perizia psichiatrica che analizzi alcuni comportamenti avuti negli attimi che hanno preceduto e seguito il tragico evento.

Nel corso delle indagini difensive svolte in questi mesi, l’avvocato Bullo ha ricostruito gli ultimi momenti di quel drammatico mercoledì di novembre quando una tranquilla giornata di ferie si è trasformata in una tragedia che ha cambiato la vita di più famiglie. Circa un’ora prima che la pistola d’ordinanza del carabiniere cancellasse tre vite, l’assassino si era recato in caserma, a Manduria, dove aveva avuto un incontro cordiale con i colleghi. «Abbiamo riso e scherzato come sempre», diranno i suoi commilitoni non rilevando niente dal suo comportamento che lasciasse presagire cosa sarebbe accaduto meno di sessanta minuti dopo. Pesare era ancora sereno dieci minuti prima il triplice omicidio quando diversi testimoni lo ricordano in compagnia del padre e del figlio. Anche in questo caso chi lo ha visto lo descrive come sempre. E ancora. Negli attimi che hanno preceduto gli spari, un vicino di casa è uscito in strada per parcheggiare la propria auto in un parcheggio che dalle telecamere interne aveva visto liberarsi. Ascoltato dagli inquirenti, il testimone ha riferito di non aver sentito urla provenire dalla casa, cosa che avrebbe dovuto sentire se ci fosse stata una lite all’interno. Infine c’è un ultima circostanza, anche questa presente agli atti, che è quella della confessione che il carabiniere ha fatto ai suoi colleghi quando sono arrivati a casa dopo che lui stesso li aveva chiamati per dire ciò che aveva fatto. A specifica domanda di un suo superiore che chiedeva se avessero litigato, il carabiniere ferito ha respinto tale evenienza rispondendo: «no, no, mi prendevano sempre in giro». Quindi, era tranquillo poco prima che uccidesse, non ci sarebbero stati rumori o urla tipici di una furiosa lite in casa e giustificazione a caldo assolutamente irrazionale di un fatto così grave ed estremo appena compiuto. Abbastanza, insomma, per aprire le porte alla follia quale unica spiegazione ad un fatto così cruento. A questo si aggiunge poi il perdurare dell’amnesia che ancora impedirebbe all’imputato di ricordare l’accaduto. Dubbi che solo una perizia psichiatrica potrà dirimere. Ed è su questo che si discuterà nell’udienza di oggi.

Nazareno Dinoi

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